
“Nel novembre 1923 il canonico volterrano don Maurizio Cavallini, uno dei
sacerdoti più acuti nel trattare la storia, scrisse Il dì del sabato in «Vita e pen-
siero, Rassegna italiana di coltura» (fondata da p. Agostino Gemelli) pp. 662-
668, anno IX, vol. XIV.
“Fra le iniziative prese nel medioevo dalla Chiesa per favorire il movi-
mento di emancipazione dei lavoratori, specialmente della terra, schiavi
nel feudalismo del proprio signore che li considerava come cose, come stru-
menti annessi alla proprietà terriera e per proclamarli in faccia a tutti liberi
figli di Dio uguali ad ogni altro uomo, conte o marchese che si fosse, si trova
quella di Papa Innocenzo III, che i poveri cioè riposino delle loro fatiche
tutti i sabati dopo mezzogiorno e che Guglielmo di Scozia sappiamo avere
attuata per dar prova di onore alla Chiesa e a Maria Santissima (1). Ì: que-
sta la lontana origine del riposo al pomeriggio del sabato, di quello che oggi
malamente han chiamato sabato inglese e dovrebbe dirsi senz’altro sabato
cristiano (2). Ed ecco fra il torbido contrasto di un’epoca sociale che tra-
monta e di un’epoca che incomincia, ecco l’idea, ecco la Chiesa, levantesi a
difesa dei deboli e della giustizia in un’aspra contesa per la libertà e per
l’uguaglianza umana. La Chiesa non la canta con note d’ironia la libertà ,
ma la produce attraverso i secoli, senza strepito e contro le arti degli stessi
recalcitranti. Il costume, poichè abbracciava una affermazione di libertÃ
popolato e un atto di onore a Maria, il cui culto raggiungeva allora qualche
cosa di sublime e di cavalleresco, si propagò ovunque con rapidità (3).
In Italia lo troviamo diffuso nei primi tre secoli dopo il mille. Codici di
diverse regioni ce ne han tramandato il prezioso ricordo. Sono gli Statuti
degli antichi Comuni delle ridenti rive del Lago di Como, di Lugano e del
Lago Maggiore e delle amene terre di Val d’Ossola e di Valsà ssina: sono in
(1) CANTÙ, Storia Universale — Epoca XI, 1096-1200 — Il Popolo nel feudalismo.
(2) V. M. CAVALLI, Sabato cristiano in «Vita e Pensiero», fase. 65, 20 maggio 1919.
(3) Siamo abituati a considerar l’altezza del culto a Maria nel medioevo dalle cattedrali a Lei
innalzate o da qualche altro fatto di grande stile, che a forza di citare abbiamo fatto divenire un luogo
comune.
Tutta la freschezza e tutta la sublimità cavalleresca di questo culto si misura meglio, oltre che
dalla letteratura patristica, dalle piccole cose che si incontrano nella vita e nei codici medioevali e
che ci dicono al di fuori degli entusiasmi pubblici le più gentili e graziose spontaneità per Maria.
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L’emancipazione dei
lavoratori nel Medioevo
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