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Un crocifisso "a giusta misura di homo"
E'
l'espressione usata dall'eremita cronista
del Convento di Monte Senario che il 26 dicembre del 1647 annotava: Venne
all'eremo il Crocifisso per l'altare Maggiore, fabbricato dal Sig. Ferdinando
Tacca a giusta misura di homo,di materie resistenti all'umido, essendo che
quello che aveva fatto il suo Signor Padre (Pietro Tacca) aveva patito
notabilmente, che seguì di motivo al suddetto suo figliolo di fabbricar questo,
quale fu dipinto dal Signore Francesco Boschi, con la Madonna et S. Giovanni
nella forma che si vede presentemente (v. Vera e certa origine del
principio dell' eremo di Monte Senario (1593-1604), a cura di A.M. Dal Pino e O. J. Dias,Roma 1967, pp.100,101).
Ecco dunque la storia e la carta d'identità del Crocifisso di Monte Senario che,
dopo circa tre anni di restauro nell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, il
23 ottobre del 1990 è stato ricollocato nella sua sede, sulla parete di fondo
del presbiterio. Nel bollettino del suddetto Santuario - Montesenario -
Lettera agli amici - si parla della necessità di restauro dell'opera e
poi della sua realizzazione - con dati tecnici e relativi nomi dei responsabili
della Soprintendenza e dei periti esecutori nei numeri maggio - giugno 1984,
luglio-agosto 1990, e dicembre novembre 1990, quindi per notizie di tale genere
rimando ai suddetti articoli. In queste nostre pagine invece ne parliamo come di
storia riguardante la SS. Annunziata, perché ogni iniziativa importante e di
rilievo che si intraprendeva dagli eremiti al Monte, veniva approvata dai Superiori del Convento di Firenze e forse da essi
consigliata,specie nella scelta degli artisti. Così deve esser successo per la
scelta di Pietro Tacca e del suo figlio Ferdinando per il Crocifisso dell'altare
maggiore.
Fonderia e casa dello scultore si trovavano vicine al convento, in via
della Pergola:casa e fonderia già del Giambologna e poi concesse dal Granduca a
Pietro e a Ferdinando Tacca.
Inoltre i Servi di Maria
erano in rapporti di amicizia col Giambologna che aveva scelto la sua cappella
gentilizia nella tribuna del Santuario, eleggendovi il sepolcro per sé e per
gli artisti fiamminghi, oltre che per il discepolo prediletto Pietro Tacca.
Ma
non sono solo questi i motivi per cui inseriamo il Crocifisso del Senario nella
nostra rubrica di Ritagli, perché c'è anche la convinzione che proprio
all'Annunziata la devozione profonda e intensamente sentita fin dalle origini
dell' Ordine dei Servi di Maria al Cristo Crocifisso - come ho avuto occasione
di scrivere più volte (v. in questo bollettino,marzo-giugno 1988, p.6) -
influisse non casualmente sui bellissimi esemplari rimasti: il Crocifisso della
cappella Guadagni, in legno,al naturale, dei primi del sec. XV; il Crocifisso
dei Bianchi, sagomato e dipinto su tavola e attribuito sia al Baldovinetti che a
Andrea del Castagno; quello in legno scolpito al naturale da Antonio e Giuliano
da Sangallo (1483)attualmente in restauro; quello grande, in bronzo, del
Giambologna che domina la sua cappella, e l'altro, più piccolo, in convento
dello stesso autore... e altri scolpiti o dipinti,sparsi nelle varie cappelle
della chiesa.
Il Crocifisso di Monte Senario oltre ad avere una cifra stilistica
che risale al Giambologna e alla sua scuola, possiede una sua identità che si
avvale di un certo pathos sempre rintracciabile nei Crocifissi dell' Annunziata.
La bella testa affondata al centro dell'arco formato da una impossibile e dolce
curvatura delle braccia,non fa pensare alla morte ma a un sonno pesante, sudato,
di un corpo che è ancora vivo, dopo il restauro pronto
al risveglio.
In altre parole, dei Crocifissi dell'Annunziata quello del Senario
ricorda l'atteggiamento, o, meglio, la sensazione che si fa viva in noi, di una
ricerca, di un rapporto che queste opere dichiarano con gli astanti, con gli
oranti, più che un significare la separazione insuperabile della morte.
Non
c'è l'accumulo di tutte le sofferenze del creato e dell'uomo nel corpo appeso
alla croce, in una inutile esaltazione di un dolore senza speranza come ha preso
il vezzo di fare una certa arte.
per chiese ai nostri giorni, ma in
questo e in questi Crocifissi la sofferenza della passione rimane in seno al
soffio della vita, che è spesa per la stessa creatura per la quale appunto è
stato crocifisso il Figlio dell'Uomo che è anche Figlio di Dio al quale
guardiamo nella speranza del perdono e nella certezza di risurrezione.
Il
restauro del Crocifisso del Senario ha rivelato sotto la patina livida
dell'ultima verniciatura (sec. XIX), il roseo originale di un incarnato ancora
vivo, inteso dal pittore Francesco Boschi (+1675), in seguito sacerdote ed
esaltato dal biografo Baldinucci, suo amico, per la vissuta fede cristiana,
oltre che per la sua arte come linguaggio di precisi contenuti da trasmettere al
fedele devoto.
E forse è questo il significato inconscio della frase
della ricordanza , a giusta misura di homo, e cioè a iconografia
esatta, ortodossa per la fede del cristiano, dato che la misura fisica
dell'opera, dim.2,22 x 1,68, supera vistosamente la più esteticamente
apprezzabile statura umana.
In chiusura di questa scheda vorrei però ricordare
che il bollettino di Montesenario..., aveva già negli anni '70
parlato a lungo del Crocifisso di Ferdinando Tacca (v. marzo-aprile 1970,p. 3-4;
e marzo aprile 1974,p. 3) riportando per due volte la ricordanza del
1647 con in più l'aggiunta importante dell'ottobre del 1648 che diede la
possibilità di rintracciare il probabile Crocifisso del padre di Ferdinando,
già esistente al Senario:Si fece ritratto del crocifisso fattoci dal Signor
Pietro Tacca, padre del Signore Ferdinando, quale aveva grandemente patito
[il crocifisso] per il grand 'umido, ma essendosi fatto ricolorire e
restaurare l'à preso il Sig. Pievano di S. Cresci per lire 84 (p.l04).
Si
rimane quindi un po' sorpresi dalle scoperte della critica e dei periti, a
proposito sia dell'attribuzione che della materia dal legno
policromo si passa alla terracotta e infine allo
stucco.
La nota di cronaca parlava chiaramente di Ferdinando Tacca e
di materie resistenti all'umido ; inoltre precisava il pittore che
aveva dipinto il Cristo: Francesco Boschi, pittore fiorentino da non buttarsi
via, direi, o ignorarlo, come è stato fatto nei resoconti del restauro.
E
aggiungiamo pure che sempre nella notizia del 1647 si rivela che i due dolenti,
la Madonna e S. Giovanni, sono opera di Ferdinando Tacca e che furono dipinti da
quello stesso Boschi Francesco che al Senario aveva il fratello Giacinto (come
eremita, fra Ilario), il quale fu superiore del convento e poi dell'eremo
servitano della Tolfa vicino a Roma.
Il bianco stucco dei due dolenti, con in
mezzo la Maddalena, opera questa aggiunta dal Portugalli, riduce certamente
l'effetto del calvario come lo avevano realizzato la scultura del
Tacca e il pennello del Boschi.
Capisco che la stampa dei Santuari non può esser
presa in considerazione da un certo tipo di ricerca... di rigore scientifico; ma
a volte,per ritrovare un mondo culturale, meno astratto e asettico per un'opera
d'arte, credo che varrebbe la pena guardare anche in quella direzione.
Eugenio M. Casalini, osm
in La SS. Annunziata, periodico bimestrale del Santuario di Firenze, XI, 1-2, gennaio / aprile 1991.