LA TAVOLA DELL'ALTAR MAGGIORE DELLA SS. ANNUNZIATA DI FIRENZE
Per la storia del Santuario omonimo e la
storia dell’Arte l’argomento non è nuovo, ma sempre importante e ricco di
interessi religiosi e culturali, visto che riguarda un famoso centro di
spiritualità, affermatosi nel passato, ed artisti non certo sconosciuti
degli inizi del sec. XVI, come Baccio d’Agnolo architetto e scultore (†
1529) e i due pittori del primo Rinascimento, Filippino Lippi († 1504) e
Pietro Perugino († 1523). Ma per ricostruire brevemente l’ambiente per chi
non è addetto ai lavori, dobbiamo premettere che la tavola
dell’Altare maggiore dell’Annunziata (1503-07) giungeva a coronare mezzo
secolo di lavori (dal 1444-1477) iniziati con la Tribuna di Michelozzo e
dell’Alberti e la conseguente ristrutturazione del corpo della chiesa (1).
Se non troviamo una diretta documentazione del come fosse sistemato il
presbiterio dopo tali lavori, ciò non significa che una progettazione
adeguata mancasse dato che proprio per l’Altare maggiore era stato
affidato ad Antonio e Giuliano da Sangallo un Crocifisso in legno al
naturale (1483), che rimase poi, anche dopo la tavola di Baccio d’Agnolo,
sull’altare fino al 1656 (2).
E forse è bene, proprio per la suddetta
elementare informazione, precisare subito che oggi della tavola di
Baccio d’Agnolo nulla rimane, se non la parte pittorica, divisa tra i
musei italiani, americani, tedeschi e alcune collezioni private. Ma la
collocazione giusta di questa parte su un’ideale ricostruzione grafica
dell’opera ha sempre sollevato – e continua a farlo – discussioni per i
diversi tentativi di ricomposizione dell’ordine ideale dei dipinti, sia
pure appoggiandosi a quel poco che rimane di grafico e manoscritto (fig.
3). E neanche è un valido esempio la ricostruzione del Canuti, presentata
nella monumentale opera sul Perugino degli anni ’30 dello scorso
secolo (3), nonostante l’accuratezza delle fonti, dalla convenzione
(4) tra i frati, Baccio d’Agnolo e Filippino Lippi, alle Ricordanze
del Convento (5), al Vasari (1568), al Biffoli († 1587) (6), alla tela di
Cristoforo Allori (1602) (7).
In sintesi, dalle fonti sopra ricordate sarà
bene raccogliere le trame della questione, per una informazione
elementare, cominciando da quanto ci racconta il Biffoli, testimone
diretto per buona parte dei lavori (certamente a conoscenza anche della
documentazione anteriore relativa) e attingendo alle due convenzioni
ancora esistenti nell’originale (8) e Appendice I.
La convenzione con Baccio d’Agnolo è datata
1500. A dì 15 di Settembre, come riporta anche il p. Biffoli che
aggiunge: Fra Zaccharia di Lorenzo da Firenze Frate della Nuntiata,
volendo honorare la Cappella Maggiore de’ denari delle sue honorate
fatiche, vedendo che l’Altare Maggiore haveva bisogno d’hornamento
conforme alla fabbrica [la Tribuna] già fatta dall’Ill.mo Sig.
Marchese [Lodovico II di Mantova], dette modo di fare detto altare,
ricercando valenti huomini sì da dipignere, come nell’intaglio del legname.
Così fu scelto Bartolommeo d’Agnolo, legnaiolo a S. Maria in Campo,
che havendo fatto el disegno, che molto piacque, gli fu affidato
l’opera dell’altare, cosa degna di lui, cioè Pilastri, Cornicione,
fregio, Architrave … tutto lavorato d’intaglio sottilmente e bene … per
pregio di scudi 250 d’oro in oro. E la convenzione stipulata nella
suddetta data aggiunge alle membrature della tavola ricordate dal Biffoli:
predella, chorona e frontespizio tutto di rilievo. Così abbiamo la
fotografia del lavoro di Baccio d’Agnolo in termini architettonici (9).
La Convenzione fatta da fra Zaccaria
di Lorenzo frate di S. Maria de’ Servi di Firenze, con Filippo di Filippo
Lippi dipintore riguarda una tavola grande per porre nella chiesa di
Santa Maria de’ Servi chon due quadri grandi, dinanzi e drieto, che dalla
parte dinanzi ene uno crocifisso disposto di † [deposto dalla Croce],
e dalla parte di drieto quello stimarrano d’achordo, e da lato sei quadri
picholi, chon uno santo per uno intero e quello più ci bisognasse per
prezo e pregio di fiorini 2 cento cinquanta, lib. vj. E il detto Filippo
promette di presentare la prima parte, cioè el quadro primo di Cristo
diposto di † chon due quadri picholi de lato a tutto aprile prossimo
avenire 1505 … E l’altra parte ch’è quella di drieto chon quelle fichure
stimarranno d’achordo e cho e’ resto, infino a sei quadri picholi, cioè
due dinanzi e due per testa [per taglio] e due per fiancho chome di
sopra, e tutta l’opera Filippo deve finirla senza eccezione per tutto
aprile 1505 (10).
La convenzione stipulata per Baccio d’Agnolo
e quella – in modo particolare – dettata per Filippino Lippi si attardano
nel prevedere tutte le «eccezioni» che potrebbero verificarsi nel
presentare in ritardo i lavori, con le more da pagare, o le possibili liti
tra i due artisti e il convento, da agitare in qualsiasi corte, ma
preferibilmente alla Corte dell’Arcivescovado. Questa ricchezza di
particolari che possiamo leggere nel testo riportato in appendice, è già
stata presa in considerazione dagli studiosi. A noi interessa invece
affermare – con la sicurezza che ci proviene dai contributi della nuova
documentazione posteriore – che i lavori elencati dalla convenzione,
furono eseguiti con cura e fedeltà, nonostante la morte prematura di
Filippino Lippi nell’aprile del 1504, e la sua sostituzione con il
Perugino (11).
Riassumendo quindi: la tavola dell’Altare
maggiore di Santa Maria dei Servi era un solido a quattro facce: una
davanti verso il corpo della chiesa, una sul retro verso il coro dei
frati, e due facce sui lati.
Su questa struttura lignea erano previsti,
nella faccia dinanzi e in quella di dietro, un grande quadro centrale
affiancato da due quadri piccoli, ciascuno con la figura di un santo in
piedi; i quali quadri piccoli in tutto erano sei perché due erano
collocati sulle due facce laterali della macchina (fig. 1).
Nel 1997 però, sulla storia della tavola
e le sue parti pittoriche, sui costi e pagamenti e sui presunti motivi che
mossero alla realizzazione dell’opera, è apparso su The Burlington
Magazine, un saggio ad opera di Jonathan Nelson in cui si offrono
nuove ipotesi e soluzioni non sempre accettabili, a mio avviso (12). Ma
l’attuale mio intervento sul tema non è tanto per il saggio del Nelson,
quanto l’occasione di aver trovato, proprio nell’inserto in cui è la fonte
più importante sull’Altare, e cioè in Cose Memorabili del Convento,
del p. Eliseo Biffoli, un disegno che appartiene allo stesso inserto. Al
f. 2r è la rappresentazione a china ed acquerello, del retro della tavola
di Baccio d’Agnolo, quasi certamente eseguito di sua mano o sotto la sua
direzione: parte quindi del progetto che molto piacque (Biffoli), e
che è l’oggetto appunto della nostra scoperta (13).
Come succede in simili casi, la certezza
dell’attribuzione e dell’interpretazione potrebbe far sorgere dubbi validi
per la critica, ma dopo un esame accurato il dubbio può rimanere solo non
conoscendo la storia vera del monumento. Semmai è a me stesso che sorge la
domanda del come, tra tutti gli studiosi che hanno consultato tali
memorie, non sia mai sorto il dubbio che il disegno potesse in qualche
modo riferirsi all’Altare Maggiore dell’Annunziata. La difficoltà di
interpretazione del disegno – alla quale è legata anche l’attribuzione –
probabilmente si collega al fatto che gli studiosi – appoggiandosi alla
descrizione che deriva dalla convenzione – abbiano sempre pensato che il
retro della tavola fosse una fotocopia della faccia dinanzi
dell’altare e quindi il suddetto disegno non fosse riconoscibile come
appartenente alla tavola.
Al sottoscritto la situazione si presentava
diversa per l’attenzione e l’intenzione da anni diretta a raccogliere
qualsiasi notizia sull'argomento, sia che provenisse dal dibattito
letterario, sia che giungesse alla sua conoscenza dallo scorrere, in
questi ultimi anni, i Registri della Sagrestia dal ‘500 e in particolare
dal 1546 – anno della prima trasformazione della tavola dell’Altare
maggiore – fino al 1655, anno della sua rimozione per lasciare il posto
all’attuale ciborio d’argento (14). Inoltre non era una novità per il
sottoscritto il fatto che l’Altare maggiore, come spazio e significato,
fosse strettamente collegato con il coro dei religiosi. Infatti da quando
era invalso l’uso in genere per il coro dei monaci e dei frati di
trasferire quest’ultimo dalla posizione anteriore all’Altare maggiore a
quella posteriore, gli arredi, i riti, le consuetudini e quanto serviva
per una liturgia particolare, si conservarono e salvaguardarono adattando
l’ambiente a quanto fosse necessario per il culto della comunità (15).
Così anche dietro l’altare maggiore
dell’Annunziata, coro e stalli guardarono a un piccolo altare, che è
quanto riprodotto nel disegno-progetto del Biffoli (fig. 2), un altarolo
che raccoglieva il servizio religioso della comunità dei frati e al quale
faceva da ancona una delle due pale centrali con ai lati le due piccole
«tavole», come è descritto dalla convenzione del 1503. Il disegno del
retro della tavola dunque corrisponde senz’altro, per impianto
iconografico e misure alla faccia dinanzi; mancano però i membri
architettonici dei pilastri e delle colonne, e al posto della grande mensa
è il piccolo altare con ai lati i vani di due porticciole: questo fa
pensare che in realtà la struttura lignea del retro potesse avere altre
misure nella realizzazione.
Ciò premesso si può più facilmente
comprendere perché il disegno del Biffoli non abbia attratto l’attenzione
degli studiosi che hanno consultato le Cose memorabili…, nonostante
che lo stesso disegno raccolga in sé molte spiegazioni sull’Altare
maggiore e il coro dell’Annunziata. Ma prima di passare alla descrizione
diretta del progetto-disegno, sarà bene fare altre precisazioni in modo da
non lasciare in sospeso qualche importante interrogativo.
Chi si è interessato per studio diretto
dell’insieme o delle parti pittoriche del monumento, si sarà senz’altro
accorto che fino dalla convenzione del 1500 e nella seguente letteratura e
documentazione del sec. XVI si è sempre parlato per quest’opera di
«tavola» dell’Altare maggiore dell’Annunziata, e solo nel 1575 il p.
Michele Poccianti scriveva nella Vita de’ Sette Beati Fiorentini –
cioè i Fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria – che il coro era a
guisa di Teatro et [su] un nobilissimo Altare in forma d’Arco
trionfale (disegno di Lionardo da Vinci) tutto coperto d’oro, è un ciborio
ricchissimo per il santissimo Sacramento, accompagnato con due porte di
marmi misti et statue di marmo (16).
Non conosco altra citazione in proposito per
il termine Arco trionfale, che ormai così appariva l’altare almeno dal
1546, nonostante che si continuasse a parlare di tavola. È certo
però che un Arco trionfale non si può scambiare con una tavola e cioè con
un’ancona dipinta e inquadrata da elementi architettonici, e dobbiamo
quindi dedurre che l’intenzione dei frati e quella di Baccio d’Agnolo era
fin dall’inizio di far troneggiare sulla mensa dell’Altare maggiore una
«vera tavola», com’era stato in uso per tutto il ‘400 e oltre nelle
chiese; però questa dell’Annunziata avrebbe avuto l’originalità moderna di
quattro facce e di misure fuori del comune. Infatti anche il nostro
disegno rappresenta una tavola architravata e mancante di qualsiasi
centinatura nelle pitture centrali. Infine bisogna ammettere che
nonostante i lodevoli sforzi fatti dalla critica per far presente Leonardo
da Vinci nell’ideazione dell’Altare maggiore secondo la testimonianza del
Poccianti, nessun documento ha sostenuto fino ad oggi – a mia conoscenza –
questa ipotesi (17).
Dopo tutte queste premesse che a mio parere
però erano necessarie per presentare il progetto del retro
dell’Altare maggiore dei Servi, possiamo ora affrontare direttamente la
lettura dello stesso.
Il disegno dell’inserto Biffoli.
L’inserto del p. Eliseo Biffoli dei Servi
di Maria della SS. Annunziata, titolato dal medesimo Cose memorabili
… fa parte della Filza 59 catalogata nell’Archivio di Stato fiorentino
nella sezione il cui materiale proviene dai Conventi Soppressi dal
governo francese, e per l’Annunziata rispondente al n. 119 (18).
Le misure dell’inserto corrispondono a cm
27,1 x cm 37,7; le pagine sono 22. Il disegno che si trova nella terza
pagina dell’inserto, occupa tutto lo spazio della medesima: è condotto ad
acquerello, inchiostro e seppia ed è quasi intatto nelle diverse parti che
hanno brevi indicazioni di scrittura del sec. XVI.
Il disegno sembra rappresentare un grande
retablo o ancona, sormontata da un frontespizio il cui centro doveva
essere riempito da un ricco stemma, ma in cui intanto è scritto pitura.
Ai lati sono due luminelli o lucerne accese. Sotto il cornicione,
al centro, si apre un grande vano rettangolare, con cornice dipinta a
finto marmo, e al centro sono due scritte: pitura e 4 br. in
circha la pitura: si tratta quindi di un grande quadro la cui base è
di circa m. 2,32. Ai lati di questo quadro sono, partendo da sotto il
cornicione, a destra e a sinistra, due rettangoli più piccoli, e in
ambedue è la scritta pitura. Sotto i due quadri piccoli ricche
soprapporte – e lo scritto illeggibile – sormontano il disegno di due
vani: in quello di sinistra di chi guarda è scritto qi [qui] sipasa [si passa], in quello di destra è scritto porta finta.
Alla base del grande riquadro centrale è uno zoccolo di finto marmo che
poggia su un altare, la cui mensa incorniciata e retta da due originali
balaustri, ha per sottomensa un pannello marmorizzato (v. fig. 2).
Alla base del foglio, e fuori dal disegno,
si legge (non molto chiaramente) Porte e marmi bianchi e misti, più o
meno s’archoloran / e no lo comprenderò, il che vuol dire, se la mia
trascrizione è giusta: le porte e i marmi bianchi e misti saranno dipinti,
ma non li comprenderò nel costo della tavola.
Quindi si tratta di un progetto che prevede
una struttura in legno e questo mi sembra ancora una prova per attribuire
il disegno a Baccio d’Agnolo. Il quale per quanto riguarda il retro della
tavola, dovette tenere presente che il coro, come spazio liturgico
e chiuso riservato ai frati, con le porte disegnate, doveva aprire
l’accesso al vuoto esistente tra i due grandi quadri per accedere ai
luminelli del frontespizio.
Ma non si tratta di sole deduzioni quelle
che proponiamo, perché le notizie che i registri di amministrazione della
sagrestia, sia pure per brevi appunti, ci hanno lasciato sono la concreta
riprova, che il progetto venne realizzato.
Infatti, le due porte disegnate con le
scritte qui si passa e porta finta sono testimoniate da
questa annotazione del 1543: Et più spesi s. quindici in far una chiave
e uno anello per ingessare alla porta che entra in sulla tavola del coro.
In seguito, la trasformazione della tavola porterà ad aprire anche la
porta di destra che nel disegno è detta finta (19).
Ma c’è un altro elemento, nel disegno, a
favore del progetto attuato come retro dell’Altare maggiore
dell’Annunziata, ed è la misura della base del vano dove doveva poi andare
il quadro dell’Assunzione di Maria che oggi è ancora presente nel nostro
Santuario. Abbiamo visto che la scritta sul disegno dice 4 b. in circha
la pitura, cioè m. 2,32, che in pratica, proprio per quell’incircha
può combaciare con i m. 2,18 dell’Assunzione e della Deposizione (ora alla
Galleria dell’Accademia).
Che il disegno-progetto di Baccio d’Agnolo,
dopo la sua realizzazione sia stato conservato dai frati con una certa
cura lo dimostra il fatto che ad esso si guardò nel 1625 per creare
un’ancona di pietra serena e statue nella piccola cappella della
Presentazione al lato della Sagrestia (fig. 4).
Da «Tavola» ad Arco trionfale (1500-1546).
Si può dire che nessuno stacco di date e di
contenuto esista tra quanto già discusso nel paragrafo precedente e
questo, nel quale non abbiamo da proporre che una sistemazione di quanto
conosciamo dalle fonti. Perché scarsa e quasi nulla è la documentazione
che ci si presenta dai Registri di sagrestia per l’Altare maggiore fino al
1546.
Il 2 aprile del 1535 troviamo la spesa per
una cassettina per tenere il cornicione dell’altare grande, e ci
rimane difficile capire di preciso il tipo di intervento. Nel gennaio del
1536 si registra questa curiosa notizia: si accomodano le cortine
dell’Altare maggiore perché róse dai topi (20). Queste cortine
coprivano certamente i due grandi quadri della Tavola, la
Sconficcazione e l’Assunzione, come è riportato anche dal
Vasari; e sulla Sconficcazione era una tela con dipinto da Andrea Feltrini
(† 1554 c.) e Mariotto Albertinelli († 1515) una Deposizione dalla Croce,
mentre sulla cortina che velava l’Assunzione del Coro era riprodotta
l’Annunciazione (21).
Sopra la tavola era il Crocifisso di
Giuliano e Antonio da Sangallo, forse appeso al baldacchino di cui parlano
più spese di sagrestia: nel settembre del 1541 si paga Matteo legnaiolo
per avere achonciato el baldachino, e nel dicembre si comprano
oncie sei d’aguti di sessanta per achonciare e’ legname del baldachino.
Il 17 giugno del 1544 si spendono 2 lire e soldi 10 per far nettare la
tavola dell’altar grande …(fig. 5) (22)
Altro non appare né dai registri di
sagrestia né da altre fonti, se si esclude il Biffoli e la spesa per il
breve intervento alla porta che entra in sulla tavola del Coro
nell’agosto del 1543, e che abbiamo già riportato nella descrizione del
disegno di Baccio d’Agnolo (23).
D’altronde il Biffoli è la fonte più fedele
in quanto come studente professo all’Annunziata – già suddiacono nel 1543
– ebbe l’occasione di veder crescere i lavori di trasformazione della
«tavola». E come teologo di rilievo a Firenze e presente poi al Concilio
di Trento, avrà certo preso parte all’esaltazione liturgica contro le
violenti dispute Protestanti sull’Eucarestia, e nel movimento che portò il
Ciborio ad essere nelle chiese più importanti il segno e il centro del
culto Eucaristico (24). Così ci pare un po’ labile la motivazione che egli
porta per spiegare la decisione presa nel 1546 dal padre fra Lattanzio di
Francesco confessoro molto celebre e di gran riputazione e credito
nella nostra città, e cioè che non stava bene el SS. Sagramento in
un canto – la cappella Villani – e bisognava trasferirlo nel più
honorato luogo della chiesa, e questo era l’Altare Maggiore (25).
Il Sacramento era stato portato, al tempo
della ristrutturazione del presbiterio – negli anni 40 del sec. XV – nella
cappella Villani; l’uso e il tempo dimostrarono che questa scelta non era
stata tra le migliori, tanto è vero che nell’aprile del 1545, la sagrestia
chiama uno scarpellino per intervenire nel tabernacolo del
Corpus Domini, ché non si potea serar, non si poteva chiudere (26).
Si giunge così, in un clima
liturgico-teologico a vedere nella Tavola dell’Altare Maggiore la
soluzione, in parte già realizzata nella sua struttura, del problema,
creando un arco al posto della presenza dei due quadri centrali di
Filippino Lippi e del Perugino. Il quadro della Sconficcazione fu
ceduto alla famiglia Federighi che lo pose come ancona nella piccola
cappella creata sul pilastro di destra dell’arcone che divide la tribuna
dal presbiterio (fig. 5); l’Assunzione del Perugino ebbe varie
collocazioni nella Chiesa, fino a quella attuale della Cappella già dei da
Rabatta (27). Ad eseguire la nuova opera furono chiamati i figli di Baccio
d’Agnolo, Giuliano e Filippo, i quali accettarono volentieri l’incarico di
eseguire un Vaso e Ciborio degno di quel luogoe per
accompagnare l’opera del loro padre si contentorno del prezzo di scudi 80
di fiorini 7 per uno.
Intorno al Ciborio erano alcune figure
che le fece maestro Santi di Michele scultore, cioè Santi di Michele
Buglione († 1576) le quali sono molto vaghe. Infine, come tutta la
tavola intagliata da Baccio d’Agnolo era già stata messa ad oro, escluse
alcune parti come la corona, fra Lattanzio decise di mettere tutto
ad oro: il Ciborio e sue figure, cielo, rosoni, borchie, 2 fianchi con le
sue porticciole insino in sul piano e 2 Angeli coloriti di colore
conveniente e profilati d’oro (28).
Ristrutturazione dell’Arco negli anni ’60.
Veramente il Biffoli dà una data precisa e
cioè il 1566, che forse è la data in cui si decise l’intervento che
riguarda sia la vecchia struttura che la parte iconografica della tavola
(29). Infatti risulta dai registri qualche consistente lavoro già
all’inizio del decennio: A compra di 30 braccia [m. 17,40] di
correnti … servirno per l’ornamento del Sagramento, è il marzo del
1563. Il 12 maggio del 1565 si paga Baccio legnaiuolo per una cornice
fatta all’Altare maggiore e intagliata, e nell’agosto dello stesso
anno Roberto dipintore dipinge 8 lucernini che stanno sopra l’altare
grande. La documentazione della Sagrestia si fa più esplicita nel
maggio 1568 con queste spese: Maestro Antonio legnaiuolo lavora
all’altare grande … e nel luglio si chiama uno scharpellino … per
far pareggiare il lastrone dell’altar grande per andar dietro l’altare
(30). Non mi sembra azzardato dedurre che il lastrone fosse quello
della mensa sulla quale poggiava la parte anteriore della tavola, e
che ora a causa dei nuovi lavori sporgeva troppo all’interno.
Ma è nel settembre dello stesso anno che
troviamo la notizia più importante riguardante la ristrutturazione della
Tavola di Baccio d’Agnolo. Si tratta di una spesa collegata alla normale
pulizia dell’altare, e cioè per aver lavato i gradini di marmo
dell’altare tre volte … una quando s’alzò l’Altare – e di
conseguenza il baldacchino; infatti nel febbraio del 1570 si registra
un'altra uscita per haver fatto fare un legno dove sta su, sue
carrucole per il baldacchino sopra l’altare grande; portò Pippo di Baccio
d’Agnolo (31).
Ho detto che la notizia di quando si
alzò l’Altare è importante, non solo perché non fa che comprovare
quanto già dice il Biffoli – il che però sarebbe avvenuto nel 1566 – ma
anche perché ci introduce a discutere sull’iconografia rimasta, che
certamente subì uno spostamento e un rimaneggiamento.
Nel ricordo del Biffoli, anche se non
espresso, è sottesa l’intenzione di far capire che l’opera dell’Altare
maggiore ormai non era più un fatto di iniziativa privata di alcuni frati
– fra Zaccaria di Lorenzo, fra Lattanzio di Francesco … – affidata alla
loro devota pietà e alle offerte che venivano dai fedeli e da altre
elemosine fatte personalmente, ma riguardava tutta la comunità e
interessava anche l’Ordine dei Servi di Maria, il cui priore Generale fra
Zaccaria Faldossi († 1570) fiorentino, conosceva bene la tavola di Baccio
d’Agnolo e i problemi ad essa connessi (32).
Sembra infatti che uno di questi problemi
fosse proprio la visione che si aveva della tavola dalla navata centrale.
Per il p. Faldossi – riporta il Biffoli – l’effetto della grande macchina
era infelice perché basso, di modo che covava…, espressione
realistica che traduceva bene il giudizio dei frati (33).
L’altare quindi aveva un peso nell’estimazione
estetica di Firenze, e si determinò con consiglio de’ periti di farlo
alzare. Per la spesa venne incontro un altro benemerito padre
dell’Annunziata, fra Giorgio, che aveva già offerto i suoi risparmi per il
decoro dello stesso altare.
Ma è interessante notare quel consiglio
richiesto ai periti, che possiamo individuare in Filippo di Baccio
d’Agnolo e in fra Giovanni Vincenzo Casali dell’Annunziata († 1590),
scultore discepolo del Montorsoli, e che il Biffoli cita solo come autore
di due statue di stucco sopra le porte che si aprivano dal
presbiterio sul coro. Quindi Fu alzato e voltato detto Altare el dietro
dinanzi con bellissimo artifizio senza punto far danno a detto lavoro
(34).
Prima di soffermarmi a spiegare quel
voltato el dietro dinanzi, che è insieme all’alzato
fondamentale per capire l’ordine che all’origine e in seguito ebbero i
quadri piccoli, non sarà inutile ricordare che i periti erano
veramente tali, e che il Casali ha lasciato ricordi della sua perizia
d’architetto più che di scultore (35).
Infatti dopo il rinvenimento di un suo album
all’archivio del Prado, intorno al suo nome e alla sua biografia si è
fatta più luce, come dimostra l’accurata ricerca d’archivio edita per la
nostra rivista da Orietta Lanzarini (36).
L’incarico dell’ideazione dei lavori fu
dunque affidato, insieme all’amministrazione delle paghe per le
maestranze, a fra Giovanni Casali, il quale al termine di una di queste
liste di pagamento così riassume:
Addì primo d’ottobre [1568] a
Maestro Antonio [dei Soderini] legnaiolo, lire quatro, s. 11 d. 4
sono per il resto del conto dello altare, di lire 282, soldi 15; parte
pagatoli da me fra Gio. Vin.°, e parte hauti da fra Amadio e fra Giorgio e
fra Maurizio, come si vede a’ libri e nel suo conto dato, e lire settanta
fasegli fanno buoni per una sepoltura hauta da’ Padri per detto prezzo; la
quale hora egli finisce del tutto pagare, è così d’accordo d’ogni cosa
come aparisce per la scritta e per i conti saldi e visti da me fra G. Vin.°,
dal lavoro de l’altare, cioè il piedistallo grande a tutta la machina, et
il piccolo al vaso del Sagramento e tutti gl’acrescimenti e acconcimi che
si son fatti, de quali per suo resto e d’ognaltro lavoro appartenente a
l’altare, porta conti lire 4, s. 11 d.4.
L’alzamento dell’altare dunque venne fatto
aggiungendo un piedistallo a tutta la macchina, ma applicando di
conseguenza uno zoccolo anche al Ciborio. Però la machina non fu
voltata – a mio parere - il dietro dinanzi, cioè girata di 180
gradi, come è stato interpretato recentemente il testo del Biffoli (37).
Una prova diretta di quanto affermo sarebbero i due quadri piccoli
tagliati – S. Filippo Benizi e S. Caterina d’Alessandria – i quali si
trovavano forse all’origine sul retro, e probabilmente per inserirli sul
dinanzi dovettero essere ridotti di proporzione (38). Ma a questo punto mi
rimane solo da presentare il problema iconografico, che affronteremo dopo
aver completato le notizie sulla ex-tavola.
Le notizie di cui sopra sono i soliti
frammenti di cronaca che si colgono dalla registrazione quotidiana della
Sagrestia: così nel settembre del 1568 troviamo un M.° Giovanni che mette
ad oro ali d’angelo, casette del Sagramento [teche per le
particole] e altre coseper l’altare grande (39); si
mutano le dua toppe delle porte che vanno sopra l’altare grande (40);
Pippo di Baccio d’Agnolo lavora al Baldacchino e orna l’altare grande
(41); si fanno e si racconciano e dipingono mute e singoli
candelieri di ottone o di legno per lo stesso altare (42) e così più o
meno di seguito, fino ad arrivare al 1578, in cui troviamo – ma non nei
registri di Sagrestia – la commissione di un piccolo cibolio per la mensa:
Ricordo come il p. m.° Sebastiano del Favilla fece il Ciborio piccolo
in sull’altare magior che vi si tiene il santissimo Sacramento
accompagnato con il piede di Croce e sopra la Croce; e si fece la porta di
pietra al coro, quella che è volta in verso la Madonna del Soccorso;
preghate Dio per chi vi fa bene. Questo dì primo di settembre 1578
(43).
Questa ricordanza mi diede
l’occasione nel 1964 di individuare nel Giambologna l’autore della porta,
e in particolare del bellissimo Crocifisso di bronzo che era murato sul
Ciborio piccolo (44).
La donazione da parte di fra Sebastiano non
riguarda però tanto il decoro dell’altare quanto invece una esigenza di
pratica pastorale giacché, almeno all’Annunziata, era invalsa nei fedeli
la comunione quotidiana ed era quindi scomodo raggiungere nel Ciborio
Grande le particole consacrate (45).
Se col Ciborio piccolo si chiude per
il sec. XVI ogni intervento significativo sulla struttura dell’Altare
maggiore dell’Annunziata, però con i frammenti di cronaca amministrativa
quotidiana possiamo farci un’idea delle cure e delle spese necessarie per
mantenere efficiente, e non solo esteticamente, la ex-tavola di Baccio d’Agnolo.
Ormai, all’inizio del sec. XVII la macchina si presentava come Arco
trionfale nella tela del Beato Manetto dell’Antella, dipinta da Cristoforo
Allori († 1621) nel 1602 per la cappella della Natività della Vergine
nella Tribuna (fig. 6). Il Canuti, prendendo lo spunto da quanto si vede
in essa – uno spicchio della parte a destra di chi guarda – ricostruì la
macchina così come sarebbe giunta al ‘600 dopo l’unico intervento –
secondo lui – subito nel 1546. Intervento che avrebbe previsto,
contemporaneamente alla rimozione delle due grandi pale di Filippino Lippi
e del Perugino, anche la rimozione e l’adattamento dei quadri piccoli e
della riduzione delle misure di due di essi.
È inutile che qui ripeta che non sono
d’accordo con questa soluzione, come non lo è la documentazione che ho già
riportato, specie per l’operazione di voltafaccia di tutta la struttura,
il dietro dinanzi, che invece si riferisce solo alla iconografia
del retro collocata nella faccia dinanzi.
Ma questo problema della collocazione
iconografica dei quadri piccoli ci introduce a parlare direttamente
dell’iconografia della tavola fin dalle sue origini.
Collocazione dei quadri piccoli del
Perugino.
Ritornando dunque all’accordo o convenzione
di fra Zaccaria di Lorenzo con Filippino Lippi nel 1503, e, dopo la sua
morte, col Perugino, sappiamo che la parte affidata alla pittura nella
tavola di Baccio d’Agnolo consisteva in due grandi pale centrali di m. 33,
3 x 2,18 ciascuna: in quella iniziata da Filippino e in faccia alla
navata, doveva andare – come abbiamo già citato più volte - uno
Crocifisso disposto di croce [una Deposizione] (fig. 8], e dalla
parte di rieto quello rimarano d’achordo e cioè verso il coro dei
frati, un’Assunzione della Vergine; da lato sei quadri picholi chon uno
Santo per uno intero, e cioè dua dinanzi, et dua per testa, et dua per
fianco. Visto che dell’Assunzione nella parte di rieto ne parla
già il Vasari a suo modo, ci rimane da ricordare che le facce della
macchina erano quattro: davanti, dietro, destra e sinistra. In queste due
ultime era un quadro piccolo per faccia (fig. 1).
Le misure dei quadri piccoli, come ci sono
pervenuti, si aggirano intorno a m. 1,60 x 0,67, ammesso che tutti e sei
non siano stati accorciati allo stesso modo per diversi centimetri della
nicchia in alto. Purtroppo però è certo che due, di questi sei, hanno
subito un taglio che li ha ridotti a m. 0.78 x 0,62 in circa ciascuno.
Dobbiamo infine dire che tutta l’iconografia
ricordata dalla documentazione – a mia conoscenza – si è salvata: la
Deposizione è oggi alla Galleria dell’Accademia di Firenze ed è stata
restaurata recentemente come la gemella pala dell’Assunzione della
Vergine, rimasta nella Cappella dei Da Rabatta all’Annunziata.; dei
sei quadri piccoli, il S. Giovanni Battista e la S. Lucia
sono oggi nel Metropolitan Museum of Art di New York, la S. Elena e
il B. Francesco da Siena, osm, sono al Lindenau Museum di Altenburg,
S. Filippo Benizi, osm e la S. Caterina d’Alessandria, i due
quadri piccoli ritagliati, sono rispettivamente nella Galleria Nazionale
d’Arte Antica a Roma, e in una Collezione privata.
Di altri due quadri che avrebbero fatto
parte del dinanzi, secondo la tela di Cristoforo Allori con
l’interpretazione del Canuti e di altri critici, ritengo molto dubbia la
loro esistenza, nonostante il nome del pittore Giovanni di Raffaello
Navesi – che mette d’oro – nelle liste di pagamento di fra Giovanni
Casali del 1568.
Ed è proprio il 1568 che mi offre il
tentativo di riordinare i sei quadri piccoli nelle quattro facciate della
macchina secondo una logica che tiene conto dell’ambiente religioso,
insieme al rapporto dell’insieme iconografico.
Nel 1568 come abbiamo già documentato nel
paragrafo precedente, l’altare fu alzato applicando un piedistallo
grande a tutta la machina ed uno piccolo al vaso del Sagramento.
Ma è impensabile che nonostante l’attenzione
dei periti a non far punto danno a detto lavoro, è impensabile
credere che specialmente il retro della tavola non subisse alterazioni.
Basta leggere il disegno di Baccio d’Agnolo per capire elementarmente che
per applicare il piedistallo grande, le porticciole che vanno in
sull’altare dovevano patire qualche trasformazione. E quindi anche i
due quadri piccoli sopra di esse ai lati del Ciborio in qualche modo
saranno stati rimossi. La causa dunque della riduzione dei due quadri
piccoli, e il possibile taglio a tutti e sei di una trentina di centimetri
della parte superiore, hanno forse a che fare con la crisi delle misure
originali di tutta la macchina nel 1568.
Così dunque si spiegherebbe quel fu
alzato detto altare el dietro dinanzi con bellissimo artifizio (46),
cioè i due quadri piccoli del retro furono tagliati e trasportati sul
dinanzi, sopra i due quadri piccoli un tempo a lato della Deposizione ed
ora del Ciborio, come si vede in parte nella tela di Cristoforo Allori.
E giacché abbiamo parlato dei due quadri
tagliati, cioè il S. Filippo dei Servi e S. Caterina d’Alessandria (47)
(fig. 10) – il primo col suo motto rivelatore e la santa con la corona, il
libro e la palma – possiamo esser certi, per quanto detto sopra, che essi
erano sul retro dell’Altare maggiore ai lati dell’Assunzione: alla destra
di chi guarda, il S. Filippo propagatore dell’Ordine della Madonna e
quindi al posto di onore per i frati del Coro; a sinistra la santa
protettrice dei filosofi e degli studenti di teologia, per la quale
all’Annunziata era dedicato una cappella e nel convento, le era affidato
il patronato dello Studium servitano.
Nella faccia dinanzi, ai lati della
Deposizione e ora del Ciborio (fig. 8), il soggetto dei due quadri piccoli
non poteva che richiamarsi alla croce: a destra il S. Giovanni Battista,
patrono di Firenze che accenna alla canna crociata, a sinistra S. Elena
che secondo una tradizione leggendaria avrebbe riscoperto la croce di Gesù
ormai sotterrata: la santa con la destra accenna alla pala della
Deposizione, e con la sinistra sostiene il libro chiuso con sopra una
piccola croce di luce (fig. 9).
Abbiamo poi le due facciate di fianco. Per
il B. Francesco da Siena dei Servi non ci sono indicazioni particolari se
non quella del Poccianti che assicura: l’immagine del Beato è visibile
in ara veteri D[ivae] A[nnuntiatae – cioè nell’altare di Baccio
d’Agnolo] cum lilio.
Quindi nel 1567 il B. Francesco nella sua
immagine era ancora sull’Altare maggiore, indicato dal giglio simbolico,
intento nella lettura di un libro aperto, come chi attinge dalla Scrittura
l’ispirazione, essendo infatti il Beato un famoso predicatore.
Il quadro si trovava sulla faccia
dell’Altare volta ad ovest verso la Sagrestia. Dalla parte opposta la S.
Lucia (fig. 11) aveva di fronte la Cappella del Cieco Nato, che forse
anteriormente era dedicata alla Santa, come lo era in seguito la cappella
Colloredo nel corpo della chiesa. Per la simbologia di questa santa vi è
qualche incertezza di lettura, perché la santa Lucia non si presenta nella
tradizionale immagine che offre i propri occhi all’Alto, ma tiene invece
nella destra un calice con patena, dalla quale si alza una vivida fiamma.
E mi sembra, anche se raramente
riscontrabile, che la nostra figura femminile raccolga in se la simbologia
delle tre virtù teologali: nel calice la Fede, nello sguardo la Speranza,
nella fiamma la Carità – virtù che certamente non sono raffigurate fuori
luogo per un Altare maggiore.
Dal 1602 alla permuta del 1655.
Non credo che l’altare di Baccio d’Agnolo
abbia subito grandi trasformazioni nel primo cinquantennio del sec. XVII,
anche se qualche problema ce lo pone il grafico elaborato nel 1675 per
individuare l’appartenenza delle diverse sepolture della Chiesa. E il
problema consiste nel fatto che l’Arco trionfale si presenta spoglio
dell’iconografia ancora testimoniata sulla tela del B. Manetto, e qui
invece rimpiazzata da intagli decorativi. Non saprei dare una spiegazione
se non ricorrendo all’ipotesi che il grafico sia stato fatto a memoria,
quando ormai dell’altare di Baccio non rimaneva che il ricordo (48).
Questa ipotesi è avvalorata da quanto sappiamo dalla documentazione
rimasta della permuta tra l’altare di legno e l’attuale Ciborio d’argento.
Ecco quanto annotano le Ricordanze E del
Convento, f. 47:
A dì 29 d.° [luglio 1655]
I Padri Discreti ripresero il negozio del
Ciborio del Sig.r Antonio Medici, lasciato in consulta sin sotto il dì 11
Maggio; quale sig. Antonio incitava di metter su il suo d'argento, e si
levasse l'arco trionfale, e il Ciborio di legno, e gli si donasse:
Risposero i Padri, e tra gl'altri il Padre Maestro Agostino, che essendo
questa cosa pretiosa, e di gran valore essendoci fra l'altre 8 pitture di
Pietro Perugino, non erano i Padri padroni di donarle, per esser questo
contro le leggi canoniche, e Bolle Pontificie; ma per non disgustare detto
Signore si poteva far un Contratto di Transattione ultrocitroque obligans,
cioè in cambio del Ciborio d'argento, noi ci obbligassimo a dargli quel
di legno indorato con l'arco trionfale, ogni volta però che lui si
obligasse di adornarlo, e finirlo conforme al disegno; et essendo lui
vecchio, acciò tal opera non restasse imperfetta, obligasse i suoi beni,
et heredi a perfettionarla, e di più nel Testamento lasciasse il fondo per
mantenere, e ripulire i detti argenti. Et essendo approvato il parer di
d.° Padre, fu confermato il partito favorevole. Vedi il Sepultuario a c.
236 (49).
E il Sepoltuario a carta 236 ci
informa:
Una cosa sola non lascierò di dire in
questo luogo, ed è ch’in questo tempo, appunto, ch’io scrivo queste
memorie, cioè al principio di Settembre 1655, fu levato via dall’Altare
Grande quell’ornamento bellissimo di legno intagliato e dorato in forma
d’Arco trionfale sotto il quale era situato il Ciborio per il Santissimo
Sagramento di legniame dorato. Et in luogo di quello fu posto un Ciborio
tutto d’Argento Massiccio a otto faccie con figure et altri ornamenti pur
d’Argento riccamente lavorati; il quale Ciborio haveva fatto fare con
spesa di 6000 scudi in circa Messer Antonio Medici Medico, e figliolo di
messer Vitale Medici del quale più avanti si fa mentione ad altro
proposito (50).
E ancora nelle Ricordanze troviamo
l’ultima notizia esistente – a mia conoscenza – sull’Arco trionfale:
A.S.F, 119, vol. 55, f. 338 [1703]
Il Ciborio … è fabbricato di legno
indorato, già concesso al Sig.r Antonio Medici, in permuta del Ciborio
d’argento, come nel suddetto libro di Ricordanze E a carte 47; oggi è
all’Altare dello Spedale degli huomini di S. Maria Nuova di questa città e
le pitture dell’arco trionfale che col detto Ciborio si diedero al prefato
Sig.r Antonio, sono in diversi luoghi.
Dopo appena un anno di ripensamenti, la
permuta tra Ciborio di legno e quello d’Argento avvenne, come ci
testimonia il Sepoltuario, ai primi di settembre 1655; così le
diverse parti della tavola di Baccio d’Agnolo e del Ciborio dei suoi
figli, smembrate si sparsero fino a far perdere le proprie tracce,
nonostante quanto affermano le Ricordanze del 1703, che vedevano il
Ciborio di legno sull’altare dello spedale degli huomini in S.
Maria Nuova, mentre sull’Altare Maggiore della SS. Annunziata troneggiava
ormai il Ciborio d’argento di Alfonso Parigi († 1656) e dei fratelli orafi
Giovanni Battista e Antonio Merlini di Firenze, come si legge alla base
del monumento: Alphonsus Parigi Civ. Flor. Author – MDCLV – Io. Bapt.
Et M. Ant. Merlini Civv. Florr. opifices.
Ma l’ultimo problema rimasto in sospeso per
noi è il numero dei quadri piccoli presenti al momento dello
smantellamento dell’arco trionfale.
Le Ricordanze E parlano a due riprese
di 8 pitture del Perugino, ma la convenzione con Filippino Lippi (1504) e
la testimonianza del Vasari nel 1568 numerano solo e sempre 6 quadri
piccoli da inserire nelle quattro facce della tavola o arco trionfale.
Dobbiamo allora accettare la tesi di coloro che nel quadro del B. Manetto
vedono e deducono la presenza di 6 quadri, 2 normali e 2 ritagliati, più 2
aggiunti alla base della faccia dinanzi? Non penso che ci sia altra logica
soluzione, scartando, s’intende l’attribuzione al Perugino per i due
aggiunti. Né, d’altronde, possiamo presumere che, nella serie dei 6 quadri
piccoli, l’estensore delle Ricordanze pensasse di includere le due grandi
tavole centrali, perché fin dal 1546, esse erano collocate altrove: la
Deposizione nella Cappella dei Federighi, e l’Assunzione della Madonna
successivamente nella Cappella Cortigiani, in Sagrestia e infine nella
Cappella dei Da Rabatta.
Anche Federico Zeri ammetteva: non è da
escludere che l’altare fosse provvisto di un gradino, almeno nella faccia
verso la navata, ma non mi pare accettabile l’ipotesi che su questo
gradino fossero collocate alcune pitture del Perugino, come egli proponeva
(51).
La nostra ricostruzione ha documentato la
presenza di un basamento aggiunto nel 1568 all’altare: per il resto non
può dire altro che nel 1655 furono concessi a Messer Antonio Medici 6
quadri piccoli con, forse, i due piccoli aggiunti nel 1568 dal pittore
Giovanni di Raffaele Navesi, che lavorava a indorare l’Altare maggiore e
riceveva da fra Giovanni Vincenzo Casali quanto con lui era stato
pattuito. Per il resto ho cercato di spiegare i suggerimenti che ci
vengono dai registri di amministrazione della Sagrestia, certamente
sciogliendo qualche interrogativo sull’argomento, e probabilmente
provocandone qualche altro.
Eugenio M. Casalini
Note.
1) Per la storia e l’arte in generale del
Santuario della SS. Annunziata, v. Eugenio M. Casalini, La SS.
Annunziata nella storia e nella civiltà fiorentina, in Tesori d’Arte
all’Annunziata, Firenze 1987, pp. 75-95, ristampato come premessa nel
volume: Eugenio M. Casalini, Icona di famiglia, Firenze 1998;
Eugenio M. Casalini, Michelozzo di Bartolommeo e l’Annunziata di
Firenze, Firenze 1985.
2) Icona…, o.c., Il Crocifisso della
Provvidenza, p. 135.
3) Fiorenzo Canuti, Il Perugino, voll. 2,
Siena 1931; vol. I, pp. 241-253; vol. II, pp. 185-190, con la
ricostruzione grafica dell’Arco trionfale.
4) Archivio Generale osm, Roma, Indulti
della Chiesa e Anticaglie del convento [della SS. Annunziata], f. 141r e
v, f. 143r e v, f. 144r; v. Appendice I.
5) A.S.F., Corporazioni religiose soppresse
dal governo francese, SS. Annunziata 119, Ricordanze alle date relative.
Come fonte inedita, i Registri di Sagrestia (R.S.): Archivio del Convento.
6) Giorgio Vasari, Le Vite, a cura di
Gaetano Milanesi, Firenze 1906: Baccio d’Agnolo, vol V, p. 349; Filippino
Lippi, vol. III, p. 461; Perugino vol. III, p. 565. Citiamo con Biffoli,
l’inserto Cose Memorabili … dell’A.S.F., v. nota 8.
7) La tela di Cristoforo Allori è nella
cappella dell’Antella o della Natività di Maria. È stata restaurata e
presentata alla mostra Il Seicento Fiorentino – Palazzo Strozzi, dic.
1986-1987, v. Biografie 1986, p. 31. Sulla tela però, nonostante che essa
da vari critici sia ritenuta come testimonianza ineccepibile dell’altare
maggiore, rimango molto perplesso; perché se da un punto di vista generale
lo spicchio dell’Arco rappresentato può suggerire l’insieme dell’opera,
cioè la tavola, per i particolari sarei molto cauto nell’accettare come
rispondente alla realtà l’ordine dei «quadri piccoli», richiesto, penso,
dal richiamare sull’altare la presenza di santi e beati dello stesso
Ordine dei Servi al quale appartiene il protagonista del racconto, cioè il
beato Manetto. D’altronde anche la statua di S. Paolo raffigurata sul
pilastro del presbiterio è puramente virtuale, dato che essa fu eseguita
qualche anno dopo la tela dell’Allori. Mi sembra quindi verosimile il
dubbio che anche per l’altare l’autore possa essersi permesso qualche
ragionevole libertà.
8) Il p. Eliseo Biffoli († 1587) fiorentino
dei Servi di Maria della Comunità dell’Annunziata, era Maestro in Sacra
Teologia e nel 1567 fu decano della facoltà teologica dell’Università di
Firenze. Come teologo aveva partecipato al Concilio di Trento, e i suoi
interessi culturali non si limitavano alle sole discipline ecclesiastiche
(v. Gabriele Roschini, Galleria Servitana, Roma, 1976, p. 207). Il suo
manoscritto Cose Memorabili… si trova oggi all’Archivio di Stato di
Firenze (A.S.F., Corporazioni religiose soppresse dal governo francese,
119, 59, n. 19) e raccoglie a mo’ di schede le notizie riguardanti la
storia dell’Ordine dei Servi, e, in particolare, del Convento
dell’Annunziata, ma acriticamente, così come gli erano giunte dalla
tradizione e anche da una documentazione che non sempre però riusciva a
interpretare. Utile invece e quasi sempre riscontrabile con la verità,
quanto riguarda le notizie su ciò di cui egli è stato testimone oculare: è
in questo senso che il Biffoli è una fonte importante sull’Altare
maggiore di Baccio d’Agnolo e Filippino Lippi. Infatti all’anno 1543 egli
ci rivela anche le sue fattezze giovanili: la tavola della S. Anna, per la
cappella Giacomini nella Tribuna affidata al pittore Antonio di Donnino
Mazzieri, tra gli altri santi presenta anche un S. Lorenzo ritratto di
fra Eliseo Biffoli, scrittor di questo libro, che era in quel tempo
suddiacono. Il nostro Archivio sta occupandosi della edizione del
testo a cura di Paola Ircani Menichini, per commemorare il 750° del
Convento e il 150° dell’Incoronazione Vaticana (1852) dell’Immagine
taumaturgica dell’Annunziata.
9) V. Biffoli, o.c., p. 23.
10) V. Appendice I. Fra Zaccaria di Lorenzo:
poche sono le notizie che possiamo mettere insieme sulla sua persona. Dal
Biffoli sappiamo che al tempo della iniziativa dell’altare, era sagrestano
maggiore, cioè responsabile della Sagrestia di tuta la Chiesa (la
Sagrestia minore era quella della cappella della SS. Annunziata).
11) R.S., o.c., E.U., 1486-1505, f. 129r
[Aprile 1504]. A dì 21 di deto andamo ar morto a santo Michele [dei
Visdomini] che morì Filippino di frate Filippo dipintore, tuto e chonvento,
ebi libre cinque e once nove di chandele.
12) Jonathan Nelson, The high altar-piece of
SS. Annunziata in Florence: history, form and function, in The Burlington
Magazine, CXXXIX, pp. 84-94, Londra 1997.
13) V. Biffoli, o.c., Appendice II (fig. 3).
Ma è da tener presente che le misure del retro e del dinanzi
della macchina sembrano non combaciare tra loro come lo richiederebbe la
documentazione e la ricostruzione del Canuti (fig. 3); v. nota 7 e
Appendice I.
14) Archivio del Convento, Registri di
Sagrestia (R.S., o.c.).
15) Marcia B. Hall, The Tramezzo in Santa
Croce, Florence, Reconstructed, in The Art Bulletin, vol. LVI, n. 3, pp.
325-345; Casalini, Michelozzo, o.c., pp. 53-54: il vecchio coro
dell’Annunziata fu demolito nel 1443.
16) Michele M. Poccianti († 1576), Vite de’
Sette Beati Fiorentini, Firenze 1575, p. 107.
17) Il Vasari ricorda la tavola a quattro
facce (non l’arco) in una lettera al Concino da Roma, il 15 marzo del
1567: … tornerò in Fiorenza coll’avere a fare quell’opera grande con
quatro facie come è quella all’altar maggiore de Servi di costì, in
Johann Gaye, Carteggio d’artisti dei secoli XIV, XV e XVI, tomi 3, Firenze
1839-1840, III, pp. 239-40; Biffoli, o.c., Appendice.
18) V. nota 8.
19) R.S., o.c., Entrata-Uscita 1535-1545, c.
6r; v. nota 40. Da notare che le due porticciole vannosopra
l’altar grande e non sono passaggio al presbiterio (v. R.S., o.c., E.U,
1554-1579), f. 7v (110) 1570.
20) R.S., o.c., E.U. (1529-35), f. 88r,
gennaio 1536: si accomodano le cortine dell’altare maggiore rose dai topi;
Ivi, il 2 aprile 1535, spese per una cassettina per tenere il
cornicione dell’altare grande.
21) Vasari, o.c., v. V, p. 8, parla di
Andrea del Sarto e Mariotto Albertinelli, ma il Biffoli corregge il
Vasari: non Andrea del Sarto (Andrea d’Agnolo) ma Andrea di Giovanni:
Chiesa della Nuntiata …Così si trova al Libro di Camarl.a segnato a 72. La
facciata della di fuori (sic), dov’è quella Nuntiata la dipinse M.° Andrea
di Giovanni dipintore, e per dipignere quella, e le Cortine dell’Altare
grande hebbe di pagamento F. 329. Di qui si vede l’error di quegli, che le
Cortigine dell’Altar le dipingessi Andrea del Sarto; questo Andrea di
chiamava Andrea d’Agnolo, e quello che dipinse fu Andrea di Giovanni.
22) Cortine e baldacchino, v. R.S., o.c.,
E.U. [gennaio 1557], ivi (feci spazar la tavola dell’altar grande et
ricoprirla …); ivi, f. 90r, per aver cucito le tende dell’altar
grande.
23) V. nota 19.
24) Roschini, o.c., p. 207.
25) V. Biffoli, o.c., p. 24, 1546.
26) R.S., o.c, E.U. 1535-1545, Aprile 1545
27) V. Biffoli, o.c., p. 24: Ciborio del
Sagramento, 1546; Canuti, o.c., p. 411. Si dà il sito al Federighi per
la sua cappella e la tavola della Sconficcazione.
28) Il Vasari - vol. V, o.c., p. 359 –
parlando di Giuliano di Baccio d’Agnolo dice che prima di morire († 1555),
aveva fatto sopra l’altare maggiore della Nuntiata il bello e
ricchissimo ciborio del Santissimo Sagramento e li due Angeli di legno di
tondo rilievo che lo mettono in mezzo. Ma vi erano anche altre
figure eseguite da Santi di Michele Buglione; infine, tutto fu messo
ad oro ad opera di maestro Mariotto e la soddisfazione di fra Lattanzio.
Da notare che le porticciole, anch’esse messe ad oro, sono ambedue
agibili, mentre nel disegno di Baccio, nel 1500, una era finta (v. nota
19).
29) V. Biffoli, o.c., p. 25.
30) R.S., o.c., E.U. 1554-1579, f. 44r e v,
[marzo 1563] A compra di 30 braccia di correnti [m. 17, 40]
servirno per l’ornamento del Sagramento…; ivi, f. 53r [12 maggio 1565]
A Baccio legnaiuolo per una cornice fatta all’altare magiore e intagliata;
ivi, f. 55r [agosto 1565]: Roberto dipintore…; ivi, f. 86r [maggio
1568] Maestro Antonio legnaiuolo lavora all’altare grande; ivi, f.
88v [1 luglio 1568]; ivi, f. 87r [luglio 1568] si fa pareggiare il
lastrone per andare dietro l’altare.
31) Ivi, f. 89r [settembre 1568] A spese
di sagrestia lire otto, sono che tanti n’à uti gl’imbiancatori per avere
tre volte lavato il coro colli scalini dell’altare maggiore, una volta di
marzo, l’altra quando s’alzo l’altare e l’altra per la festa della Madonna
di Settembre; ivi [settembre] Sono in dua padelle per li angeli di
marmo per l’altare maggiore. I due angeli, ai lati dell’altare sono
quelli del sepolcro Nari, opera dell’Ammannati († 1592), oggi dispersi (c.
Icona, o.c.: Eugenio M. Casalini, Bartolommeo Ammannati e i due angeli di
marmo, pp. 290-293).
32) Fu insigne teologo e predicatore
apostolico, nonché riformatore degli Statuti del Collegio teologico
dell’Università di Firenze e delle Costituzioni del proprio Ordine
nel 1569 (v. Roschini, o.c., p. 187).
33) Biffoli, o.c., 1566, p. 25.
34) Ivi.
35) Proprio nel convento, la perizia del
Casali era già stata messa alla prova, come artista e amministratore di
lavori e di paghe alle maestranze nel 1564, sotto il priorato di fra
Eliseo Biffoli (v. A.S.F., Corporazioni religiose soppresse dal governo
francese, 119, 122, f. 183).
36) Orietta Lanzarini, Un artista di fine
Cinquecento: fra Giovanni Vincenzo Casali dei Servi, in Studi Storici osm,
Roma 1999, fasc. I-II, pp. 33-80; Eugenio M. Casalini, Il Montorsoli e le
statue del coro dell’Annunziata, in La SS. Annunziata di Firenze, 2,
Firenze 1978, pp. 127 ss.
37) Nelson, o.c., p. 93, riporta il
«convincente» parere espresso in una conferenza di Keith Christiansen, su
questa rotazione di 180 gradi, data alla struttura di Baccio d’Agnolo.
38) Mi sembra che da tutto quanto proposto,
queste possano essere delle ragionevoli deduzioni.
39) R.S., o.c., E.U., 1554-1579, f. 88v
[settembre 1586] Maestro Giovanni, probabilmente Giovanni di
Raffaele Navesi, pittore che operava nell’ospedale di S. Maria della Scala
a Siena nel 1575-77.
40) Ivi, f. 74 (o 110) v [ottobre 1570] cfr.
per le due porte, nota 19.
41) Ivi, f. 57 (o 102) v, per il baldacchino
è da notare ivi, f. 8v [giugno 1555] ci sono spese per un argano per
tirare il baldacchino in cupola.
42) Ivi, f. 36v [aprile 1563]; ivi, f. 46v
[1564] fra Zanobi Pitti dipinge i candellieri dell’altare grande;
ivi, f. 53r; ivi f. 70v [marzo 1567] quattro candellieri grandi
d’ottone fatti fare da P. Giorgio per l’altare grande.
43) Ivi, f. 76 (o 112) v [gennaio 1571]
anelli per tenere i gradini dell’altare grande per andare ad accendere i
ceri; ivi, f. 77 (o 113) r [gennaio 1571] si fa una scala per l’altare
maggiore per andare ad accendere i ceri; ivi, f. 111 (o 148) v [ottobre
1574] per tirare il baldacchino dell’altare maggiore; ivi, f. 122 (o 159)
[gennaio 1576] allo scarpellino lire dua per haver fatto le buche a
quattro altari per mettere le pietre sacrate, i Martiri [oggi di S.
Lucia], S. Cosimo [oggi del Cieco Nato], S. Anna, l’altar grande;
A.S.F., Corporazioni soppresse dal governo francese, 119, 53, f. 124v e
119, 59, f. 20r. 1578. Ricordo com’il padre Maestro Bastiano del Favilla
(† 1595) fece fare el ciborio piccolo in sull’altare maggiore e fece la
porta ch’è dietro al coro, dirimpetto alla Madonna del Soccorso, cioè alla
cappella del Giambologna (Biffoli, o.c., p. 25, 1576).
44) Eugenio M. Casalini, Due opere del
Giambologna all’Annunziata di Firenze, in Studi Storici osm, Roma 1964,
fasc. I-IV, p. 261.
45) Ivi, o.c., p. 269, n. 28.
46) Biffoli, o.c., 1566, p. 25.
47) È proprio il motto del Santo: Servus
tuus sum ego et filius ancillae tuae che ha chiarito l’identità di
questo santo dei Servi uscito dall’anonimato insieme all’altro Servo di
Maria, il beato Francesco da Siena, scambiato dal sec. XIX come S.
Filippo. Vedi Eugenio M. Casalini, I BB. Giovacchino e Francesco, in Da
una ‘casupola’ nella Firenze del sec. XIII, Firenze 1990, pp. 134-140.
48) A.S.F., 119, 1273: disegno a penna fatto
per individuare le diverse sepolture sul pavimento della chiesa nel sec.
XVII. Per noi è interessante per la rappresentazione dell’altare maggiore,
dove sono visibili il baldacchino e il Crocifisso di Giuliano e Antonio da
Sangallo, il Ciborio di Giuliano e Filippo di Baccio d’Agnolo, il piccolo
ciborio con il Crocifisso sulla mensa, i puttini dell’Ammannati ai lati
dell’altare, la cappella Federighi con la croce dell’ancona. V. fig. 5.
49) V. [Pellegrino M. Tonini], Il Santuario
della Santissima Annunziata, Firenze 1876, pp. 67 ss, e doc. XLIII, p.
288. Il P. Maestro Agostino Bacherelli († 1660) teologo insigne e priore
della SS. Annunziata, v. Giuseppe Cerracchini, Fasti teologali, Firenze
1738, p. 433.
50) In realtà le facce del Ciborio d’argento
sono sei. Il Sepoltuario è manoscritto: Archivio del Convento.
51) Federico Zeri, Appunti sul Lindenau
Museum di Altenburg, in Bollettino d’Arte, Roma 1964, n. 1, p. 51.
Appendice I.
(Due sono i motivi per cui ristampiamo le
convenzioni già trascritte e pubblicate dal Nelson: a) ci sembra
troppo importante, per l’intelligenza del nostro saggio, poter consultare
direttamente i due originali; b) le due convenzioni, oggi giacenti
nell’Archivio Generale osm a Roma, in Indulti e Anticaglie della Chiesa e
del Convento, f. 141 r e v, sono un documento esemplare da recuperare
nell’ambito della ricostruzione del patrimonio culturale dell’Annunziata
del Rinascimento).
f. 141r.
1500. Sia noto e manifesto a qualunque
persona vedrà o legerà questa presente scritta chome oggi questo dì 15 di
settembre 1500 fra Zacheria di Lorenzo frate de’ Servi aluogha a
Bartolomeo d’Agniolo lengnaiolo a Santa Maria in Chanpo e’ legniame o vero
tavola dello altare magiore della chiesa di Santa Maria de’ Servi secondo
el modello el qual è di mano di detto Bartolomeo chon pilastri e cholone
di rilievo, chornicione, fregio e architrave e predella e chorona e
frontespizio, tutte di rilievo e intagliate, per pregiodi fiorini cento
cinquanta larghi d’oro inn oro, la quale promette avere fatta per tutto el
mese di g[i]ungno 1502 sotto pena di fiorini cinquanta larghi d’oro inn
oro, e detto fra Zacheria a provedere di danari di mano in mano acciò
possa lavorare. E per ciò oservare obrighano l’uno a l’altro inn ongni
migliore modo si può, e per oservanza delle sopradette chose s’obrighano
nominatamente alla chorte dello Arciveschovado di Firenze e inn ogni altro
luogho dove ragione si tenessi, e per fede del vero si soscriveranno qui a
pie’ di loro propria mano essere chontenti a quanto di sopra è detto. E io
Bernando di Giovanni Mini ò fatto questa scritta di mia propira mano a
preghiera de’ sopra detti.
Io frate Zacheria di Lorenzo da Firenze
frate di Sancta Maria de’Servi m’obligho e chiamo contento a quanto di
sopra si contiene e in fede di ciò ò facta questi versi di mia propria
mano, anno e mese e dì detto di sopra.
Io Bartolomeo d’Angniolo lengnaiuolo sono
chontento a quanto di sopra è deto e per fede del vero mi sono ischrito di
mia propria mano ogi questo dì deto di sopra.
f. 141v.
Dì primo d’otobre 1500 – Io Bartolomeo d’Angniolo
Lengnaiuolo ò ricevuto da frate Zacheria frate de’ Servi fiorini cinquanta
larghi d’oro in oro per parte di deta tavola f. 50
E a dì 24 di giungnio 1501 fiorini quaranta
d’oro in oro larghi per parte di deta tavola f. 40
E a dì 30 d’otobre 1501 fiorini ventadue
d’oro in oro larghi riceuti da deto frate Zacheria per parte di deta
tavola f. 22
E per insino a dì 22 di marzo fiorini
quindici e lire quatro soldi quartordici in piccioli per parte di detto
lavorio f. 15.4.14.
f. 143v.
1503 – Sia noto et manifesto a qualunche
persona vedrà o legerà questa presente scritta, chome fra Zacheria di
Lorenzo da Firenze, frate di Santa Maria de Servi di Firenze, già fu più
tempo alochò a Filippo di Filippo Lippi, dipintore, una tavola grande per
porre nella chiesa di Santa Maria de Servi chon due quadri grandi, dinanzi
e drieto, che dalla parte dinanzi ène uno Crocifisso disposto di croce e
dalla parte dirieto quello rimarrano dachordo, e da lato sei quadri
picholi chon uno Santo per uno intero, et quello più bisognassi, per prezo
et pregio di fiorini cento cinquanta larghi d’oro in oro, quando avessi
fatto tutto detto lavoro. Di che oggi, questo dì XV di settembre, el
sopradetto frate Zacheria di Lorenzo in suo nome proprio, et chome
sindacho et prochuratore del chonvento de’ Servi di Santa Maria di Firenze
et di sua spontanea volontà et nome, essendo ubrighato senone a quanto di
sopra è detto, s’obricha el detto frate Zacheria dàgli della sopradetta
tavola fiorini dugento larghi in oro e paghagli chome di sotto si dirà,
cioè che detto Filippo promette dare et finire la prima parte, cioè el
quadro primo di Christo disposto di croce chon dua quadri picholi da lato
per tutto aprile prossimo a venire 1504, e per inpedimento e pocho tenpo
nolla potessi avere finita, sia ubrighato el sopradetto Filippo sotto pena
di fiorini 100 larghi d’oro in oro aver lla finita et posa su almeno per
lla Pasqua dello Spirito Santo l’anno 1504, e questo fa, perché chonosce
che detto Filippo nollo potrebbe servire bene e [non] servendolo bene non
si salverebbe, e però s’è chome di sopra ubrighato a detti fiorini dugento
larghi d’oro in oro chome di sopra. Et per la sopradetta parte dinanzie et
due quadri picholi el sopradetto frate Zacheria gli debbe dare fiorini 100
larghi d’oro in oro per parte de fiorini 200 larghi, chome di sopra,
chonputandovi drento quello avessi auto per insino a ora.
E l’altra parte, ch’è quella di rieto, chon
quelle figure rimarranno dachordo et chon resto per insino in sei quadri
picholi, cioè dua dinanzi, et dua per testa, et dua per fiancho, chome di
sopra, et debbe el sopradetto Filippo avere finita tutta detta opera et
dipintura sanza niuna accezione, per tutto aprile 1505. Et debbe detto
Filippo essere paghato di mano in mano sichondo s’usa a tale opera, et per
ciò oservare el sopradetto frate Zacheria in suo nome proprio s’obrigha, e
chome sindacho e prochuratore del chonvento, s’obrigha per deta soma,
chome apare per chontratto di mano di ser Ghuasparri Nachianti sotto su[pradetto?]
dì.
El sopradetto Filippo obrigha se et sua redi
et beni presenti et futuri, et sottomettersi inn ogni lugho dove ragione
si tenessi et massimamente alla Chorte del’Arciveschovado di Firenze,
quanto a quello avessi auto per detta opera et per lle pene per avere
oservato a quanto di sopra nonne è detto, et io Bernardo di Giovanni Mini,
chome amicho chomune, ò fatto questa scritta di mia propria mano questo dì
detto di sopra, ala quale per chiareza del vero e’ sopradetti si
soscriveranno di loro propria mano, essere chontenti et ubrighati a quanto
di sopra s'è detto, questo dì XV di settembre 1503, e chon questo inteso,
che quando detto frate Zacheria non paghassi, o lui ol chonvento de frati
di Santa Maria de Servi di Firenze, inchorino e chagino nelle medesime
pene che sarebbe chaduto Filippo sopra detto quando nonne avessi oservato
a’ tenpi ragionevoli.
Io frate Zacheria di Lorenzo da Firenze
confirmo e confesso essere la verità quanto in questa scritta si contiene
et per chiareza del vero mi sono sottoscritto di mia propria mano, anno, e
mese, e dì detto di sopra.
Io Filippo di Filippo Lippi dipintore, detto
di sopra, sono contento a quanto di sopra si contiene, e per fede di ciò
mi sonno soscritto di mia propria mano, oggi questo dì soprascritto.
Io Filippo di Filippo Lippi dipintore ò
riceuto fiorini trentacinnque d’oro inn oro larghi da frate Zacheria di
Lorenzo frate del convento della Nunziata de Servi sono per parte di
fiorini dugento d’oro inn oro larghi e quali mi da per dipintura della sua
tavola chome si vede in questa iscritta e non sono obrighato nnesun altra
cosa senone alla dipintura [inserito: e cholori] e ongni altra ispesa che
indetta tavola occhorresse a apachare [sic] detto frate Zaccheria f. 35
doro.
Appendice II.
Da: Fra Eliseo Biffoli, «Cose Memorabili … (1587)».
Altare Maggiore.
1500. A dì 15 di Settembre. Fra Zaccharia
di Lorenzo da Firenze Frate della Nuntiata, volendo honorare la Cappella
Maggiore de’ denari delle sue honorate fatiche, vedendo che l’Altare
maggiore haveva bisogno d’ornamento conforme alla fabbrica già fatta dall’Illmo
Sig. Marchese, dette modo di fare d.° altare, ricercando valenti homini si
in dipignere, come nell’intaglio del legname. E perché in que’ tempi
fioriva assai la virtù di Bartolomeo d’Agnolo, legnajuolo a S. Maria in
campo, però convenne con seco, havendo fatto el disegno, che molto piacque
che lui gli facessi d.° altare, lavorato d’intaglio sottilmente, e bene,
come si vede, e con tutto che l’opera assai più meritassi, el d.°
Bartolomeo però in Chiesa tanto celebre, e a tanta honorata devotione si
contentò di stare in Capitale. Così pattuì con el d.° Padre di mantenerli
el disegno, e far cosa degna di lui, cioè Pilastri, Cornicione, fregio,
Architrave, e tutto quello si conviene, tutto lavorato d’intaglio per
pregio di scudi 250 d’oro in oro. Quale lavoro d.° Bartolomeo promette
darlo finito per tutto Giugno 1502 sotto pena di scudi 50 mancando. Di
tutte queste conventioni n’apparisce una scritta in Carta bambagina fatta
per mano di Bernardo di Giovanni Mini alle preghiere de’ detti,
sottoscritta di loro propria mano promettendo l’uno all’altro osservanza.
E nella medesima scritta di dietro si trova che Fra Zaccheria d.° a dì 1°
di Ottobre 1500 sborsa scudi 50 per questo conto al d.° Bartolomeo, e va
seguendo.
1503. L’anno d.° Fr. Zaccheria d.° da a
dipignere la tavola dell’Altare grande con quell’altre figure a Filippo di
Filippo Lippi per prezzo di scudi 200 d’oro in oro, con patto gne si
habbia a dar finita per Pasqua dello Spirito Santo dell’anno 1504 sotto
pena di scudi 100 scritta fatta per mano del medesimo Bernardo, e
sottoscritta dalla parti in Carta bambagina.
1504. Havendo già Bartolomeo d’Agnolo finito
d’intagliar el legname dell’altar grande, si convennono e frati con
Francesco di Nicolò dipintore di farlo metter d’oro per prezzo di scudi
240 d’oro in oro tutto a sua spese. Di che fu rogato per Ottaviano Notajo
del Convento. Tutto si trova al Capit. A 151.
Corona dell’Altar grande.
1546. A dì 20 di Settembre Fra Lattanzio di
Francesco frate de’ Servi, e Confessoro molto celebre, e di gran
riputatione, e credito nella nostra Città, considerando, che non stava
bene che la corona dell’Altar maggiore non fusse messa d’oro, come el
restante dell’Altare grande, convenne con Mariotto di Francesco M.° di
mettere a oro, e gli dette a fare, e metter d’oro 8 Candellieri lavorati
d’intaglio con 2 frontoni lavorati a fogliame, tutto a spese di d.°
Mariotto sì d’oro, come gesso, e altro per prezzo di scudi 60 di F. 7 per
ciascheduno. Di tutto appar scritta di mano del d.° Padre in Carta
bambagina, nella quale sono e pagamenti che si fanno di mano in mano.
Ciborio del SS. Sacramento sopra l’Altar
grande.
1546. El medesimo Padre Fra Lattantio di
limosine di sua spirituali, e in particolare del Sig. Abbate Doffi, e
altri, considerando, che non stava bene el SS. Sagramento in un canto,
come stava nella Cappella de’ Villani, e che era bene stessi nel più
honorato luogo della Chiesa, e questo era l’altare maggiore: Così chiamato
a se Giuliano, e Filippo di Baccio d’Agnolo, quello che haveva fatto
d’intaglio l’altar maggiore detto, convenne seco che gli facessi un Vaso,
e Ciborio degno di quel luogo, e dell’ingegno, e virtù sua, e de’ sua
passati, convennono insieme d’accordo per prezzo di scudi 80 di F. 7 per
uno, e con tuttoch’el prezzo fussi poco, que dua buoni fratelli Giuliano,
e Filippo amorevoli al Convento, e per accompagnare l’opera del loro
padre, si contentorno di tal prezzo, e feciono quello bel Vaso, e Ciborio,
che hoggi si vede. Le figure che sono intorno a d.° Ciborio le fece M.°
Santi di Michele Scultore, le quali sono molto vaghe: le fece per prezzo
di F. 21. Detto Fra Lattantio dette la mancia a Garzoni di d.° Giuliano F.
14.
Si mette d’oro el Ciborio.
1546. A dì 4 di Novembre Fra Lattantio di
Francesco soprad.° da a mettere d’oro el d.° Ciborio, e sue figure, Cielo,
rosoni, Borchie, 2 fianchi con le sue porticciuole insino in sul piano
tutto d’oro, e 2 angeli coloriti di colore conveniente, e profilati d’oro,
e altre cose, che occorreranno per d.° lavoro, e questo per prezzo di
scudi 120 di F. 7 per ciascheduno, con patto che habbia haver finito tal’opera
a mezzo Marzo prossimo futuro, e mancando le parti delle conventioni
caschino in pena di scudi 25 d’applicarsi all’osservatore. Di tutto appare
scritta in Carta bambagina di mano del d.° Padre, sottoscritta da Mariotto
d.°. Nota che vedendo d.° P. Fra Lattantio, che d.° Mariotto l’haveva
servito bene, e in tempo gli donò di più scudi 25 che fanno tutta la somma
di scudi 145.
Ciborio piccolo.
1576. A dì 2 Maggio M.° Bastiano di
Giovambattista del Favilla nostro frate, homo molto venerabile, e
amorevole alla Chiesa, vedendo che era bisogno d’un vaso, e Ciborio
piccolo, dove stessi el SS. Sacramento per comodità di comunicar le genti,
fece di sua beni paterni quel Ciborio con la Croce sopravi, tutto fece el
porticino homo valente el dipintore, che sta dal Campanile lo messe d’oro.
Costò ogni cosa, cioè Ciborio, la Croce, metter d’oro, le chiavi da
serrare, condurlo, e farlo mettere in opera nel modo che si vede scudi 46
di F. 7 per ciascheduno. Merita veramente questo buon Padre esser lodato,
e che per lui si preghi.
Altar Maggiore, quando s’alzò.
1566. Considerando el R.mo Gnle
Zaccheria, ch’el nostro Altar maggiore era una bella macchina, e benissimo
ornato, ma ch’era basso di modo che covava, e non mostrava la sua
grandezza, però si determinò con consiglio de’ periti di farlo alzare. E
con limosine, che gli offerse el P. Fra Giorgio di sua confitenti, le
quali quante fussino, non so: sò bene, ch’el Convento dette a M.° Baccio
Soderini Legnajolo scudi 12 e una sepultura. E a Giovanni di Raffaello che
mette d’oro scudi 16 di F. 7 per scudo. E a Fra Giovanni Casali per far
quelle due statue sopra le porte di stucco scudi 7 che sono in tutto scudi
35. Fu alzato, e voltato d.° Altare el dietro dinanzi con bellissimo
artifizio senza punto far danno a detto lavoro.