Il beato Gioacchino Piccolomini (1259-1305) entrò nei Servi di Maria
in giovane età. Fu discepolo di San Filippo Benizi, che profetizzò per lui
grandi cose. Dimostrò fin da subito così tanta umiltà da rifiutare di essere
ordinato sacerdote. La sua grande generosità nella carità e nell’amore alle
cose del Cielo è testimoniata dagli Annali dell’Ordine, I, 206-207, tradotti
qui di seguito.
Da notare nel testo la profonda comprensione riguardo all’anima rivolta
al Signore.
[...] Gioacchino, esercitando volontariamente il ministero più umile, non
mancava di stare con le persone tristi e gli afflitti, che la semplice preghiera
era capace di rianimare in modo meraviglioso perché lo Spirito Divino sof-
fia una gran quantità di grazia e di favore.
Sollecito, si prendeva cura degli infermi, mai vinto dalla noia o dalla nau-
sea, e quando la carità in lui prosperava, ancor più mostrava grandissima
attività verso i sofferenti; di conseguenza accadde una volta che Gioacchi-
no, ritornato a notte fonda dalla visita ai malati, trovasse chiusa la porta del
monastero; e poiché avrebbe preferito giacere all'aria aperta piuttosto che
disturbare il portinaio dal sonno, pregò in ginocchio e vide aperte sponta-
neamente le porte – come mostra il suo sarcofago scolpito con il ricordo di
questo fatto.
Un giorno fu mandato al convento di Arezzo per rimanervi un anno, se-
condo la consuetudine dei frati, e mentre era in viaggio, essendo tutte le vie
inondate a causa dell’abbondante pioggia, deviò verso una casa ospizio, dove
giaceva un malato stremato da grave e lunga malattia, e sopportandone
penosamente le lamentazioni, Gioacchino, desideroso di lenire i suoi mali
con parole dolci, si rivolse a lui dicendo:
– Ti chiedo, fratello mio, di sopportare serenamente questo tuo morbo,
che ti è stato dato per raggiungere la salvezza tramite la pazienza –.
E l’altro:
– Ehi, buon frate (disse veramente), è più facile esortare gli altri nell’in-
fermità, che sopportare la propria –.
Il lume
cadde
che non
Al che Gioacchino, ardente di somma carità:
– Prego (rispose) Dio onnipotente che trasferisca in me la tua malattia,
che mi sia compagna nella vita futura per esercizio alla salvezza –.
Alla preghiera di Gioacchino (cosa meravigliosa) l’ammalato subito si alzò,
sentì di star bene fisicamente, e comprendendo di aver conseguito il bene-
ficio di Dio, ringraziò tanto Gioacchino che si era accollato questo onere;
l’Uomo di Dio infatti subito fu oppresso dall’epilessia, che lo fece soffrire
gravemente per tutto il tempo della sua vita.
Quando dunque giunse ad Arezzo, e fu addetto alla cura della chiesa, ac-
cadde che il giorno della Assunzione della Regina del Cielo [15 agosto],
mentre Gioacchino assisteva il religioso celebrante con funzione di chieri-
co, per un attacco di epilessia cadde improvvisamente a terra, e il cero ar-
dente usato all'elevazione della SS. Eucaristia, e che teneva in mano, si fer-
mò in aria da sé, fino a quando il sacro calice alzato dal sacerdote fu posato
sull'altare. Riguardo a questo ammirabile e conosciutissimo portento, il
maestro Gasparino Veneto Servita [Borro, + ca 1498] cantò nei suoi Trion-
fi:
Integro tutto senza alcuna voglia
Doppo sofferse suo il Compatriota
Chi sana il mal, che cade a chi da voglia.
Contemplativo stava all’alta rota.
Il Ciero in mane per aver più lume.
Umile, e basso con l’alma devota.
Il quale canto fu così tradotto in latino:
Corpora sanantem morbo collapsa caduco
Sena videre Patrem lumina nostra tuum.
Dum sacris astans elevat, Christumque Sacerdos,
Heu cadit hoc morbo, linquit in aethra facem.
[Siena, i nostri nostri occhi videro il tuo padre che sanava i corpi crollati
nell’epilessia – E mentre assiste alla funzione e il sacerdote eleva Cristo –
Ohimé, cade in questo morbo e lascia la fiaccola al Cielo].
Traduzione di Paola Ircani Menichini, 14 marzo 2020.
Ricordando p. Eugenio M. Casalini che tra i santi dei Servi ebbe caro proprio il
beato Gioacchino.
Gli Annali, I, 206-207:
“Ita igitur Joachimus vilissima quæque ministeria libenter exercens, moestis, afflic-
tisque non deerat, ad quos etiam refovendos simplex ejus oratio mirificè valebat, utpo-
te cui plurimum gratiæ, plurimum favoris Divinus Spiritus afflarat.
Sedulus infirmis assidebat, nullo unquam vel tædio, vel nauseâ victus, & cùm in eo
singularis vigeret Charitas, magis laborantibus majorem quoque exhibebat operam,
unde contigit aliquando, ut Joachimus intempestà nocte reversus ab infirmorum visi-
tatione januam Monasterij clausam reperiret; cumque maluisset sub dio jacere, quàm
janitorem à somno exturbare, dum flexis genibus orat, ultro fores aperiri vidit, quema-
dmodum hujus rei memoria in marmoreo ejus sarcophago incisa demonstrat.
Ad Coenobium Aretinum aliquando missus annum permansurus juxta Fratrum con-
suetudinem ob effusam in itinere ingentem aquæ pluviæ copiam, qua viæ omnes inun-
darentur, ad quandam hospitalem domum divertit, ubi decuberat aegrotus gravi, &
diutino morbo laborans, cujus querimonias Joachimus aegrè ferens, blandisque ver-
bis lénire cupiens sic eum affatus est:
Perfer quaeso mi frater æquanimiter morbum hic tuum, qui tibi per patientiam ad
salutem datus est.
Tunc ille:
Heu bone Frater (ait) longè faciliùs est alios in infirmitate hortari, quam suam
propriam ferre.
Ad hæc Joachimüs summa Charitate ardens:
Precor (inquit) omnipotentem Deum, ut hunc tuum im me languorem transferat,
qui meæ sit reliquæ vitæ futurus comes, exercitium salutare .
Ad hanc Joachimi precationem ægrotus (mirabile dictu) illico surgens, se bene vale-
re præsensit, quod Dei beneficio acceptum referens Joachimo de tanto in se collato
munere gratias ingentes egit; quando Vir Dei repentè comitiali illo morbo opprimitur,
quo quandiu vixit graviter laborávit.
Cùm igitur Aretium pervenisset, ibique Ecclesiam curaret, accidit, ut in die Assump-
tionis Reginæ Coeli Joachimus Religioso cuidam celebranti assistens, et Clerici fun-
gens officio, Cereum, cùm Divina agerentur, ad elevationem Sacratissimæ Eucharisti-
ae in manu teneret, quando opprimente Joachime illum epileptico stupore super pavi-
mentum repentino casu prosternitur, & nihilominus ardens Cereus per se substitit,
donec sacratus calix elevatus per Sacerdotem super Ará reponeretur. De quo quidem
percelebri, & admirando portento M. Gasparinus Servita Venetus in suis Trìumphis
ita cecinit.
Integro tutto senza alcuna voglia
Doppo sofferse suo il Compatriota
Chi sana il mal, che cade a chi da voglia.
Contemplativo stava all’alta rota.
Il Ciero in mane per aver più lume.
Umile, e basso con l’alma devota.
Quod carmen ita latine redditum fuit.
Corpora sanantem morbo collapsa caduco
Sena videre Patrem lumina nostra tuum.
Dum sacris astans elevat, Christumque Sacerdos,
Heu cadit hoc morbo, linquit in aethra facem”.
Si prega di orso, fratello æquom
Ohimé